#Mito 1: L‘ADHD è un disturbo dell’attenzione
Questa affermazione descrive solo parzialmente l’ADHD. Infatti l’attenzione – o meglio, la disattenzione – è solo un sintomo del disturbo; le problematiche che esso comporta sono ben più profonde e articolate, a partire dagli altrettanto comuni sintomi di impulsività e iperattività.
Possiamo quindi meglio intendere l’ ADHD come un disordine dell’autoregolazione, aspetto che permette di includere le difficoltà in differenti aree del comportamento.
Cornoldi et al. (2001) a questo proposito sottolineano come i problemi relativi all’autoregolazione possano rintracciarsi a diversi livelli, a partire dalla dimensione affettivo-emotiva, determinando difficoltà nel regolare i personali livelli di autostima oppure nel regolare l’intensità delle proprie emozioni (rabbia, felicità, frustrazione ecc.).
Anche il comportamento viene difficilmente regolato, per cui potremmo osservare la tendenza a fornire risposte impulsive o a esprimere un’eccessiva attività motoria (soprattutto nei casi in cui è presente iperattività).
Infine possiamo osservare una difficoltà nella gestione del processo di pianificazione e di risoluzione dei problemi e quindi difficoltà relative al funzionamento esecutivo, così come interpretato dalla neuropsicologia.
Le funzioni esecutive sono un insieme di processi cognitivi necessari per mettere in atto comportamenti adattivi ed orientati verso obiettivi futuri (Shallice, 2002). Tra i modelli teorici più interessanti segnaliamo quello proposto da Myake et al. (2000) che descrive tre sottosistemi: l’inibizione della risposta (controllo inibitorio), l’aggiornamento in memoria di lavoro e la flessibilità cognitiva.
Per approfondire
Cornoldi C. et al. (2001), Iperattività e autoregolazione cognitiva: cosa può fare la scuola per il disturbo da deficit di attenzione-iperattività, Trento: Erickson
Shallice T. et al. (2002), Executive function profile of children with attention deficit hyperactivity disorder. Developmental Neuropsychology 21: 43-71
Miyake A. et al. (2000), The unity and diversity of executive functions and their contributions to complex “Frontal Lobe” tasks: a latent variable analysis. Cogn Psychol. 2000 Aug;41(1):49-100
#Mito 2: L‘ADHD è causato da una cattiva educazione
Alle famiglie e agli operatori che lavorano con i disturbi del neurosviluppo è senz’altro capitato di sentire affermazioni come queste: “in passato li chiamavamo bambini che sognano ad occhi aperti, mentre oggi li chiamano ADHD e gli danno pure un farmaco“ oppure “Da quand’è che un po’ di vivacità e di capricci sono diventati una malattia?”
L’ADHD non è il risultato di cattive pratiche educative familiari, né di mancanza di disciplina; si tratta di un effettivo disordine dello sviluppo con chiara origine neurobiologica; le problematiche relazionali ed educative sono semmai secondarie e/o derivate dalle difficoltà che lo stesso comporta.
La genitorialità è perciò una dimensione decisiva nel promuovere percorsi evolutivi funzionali o disfunzionali. A questo proposito Frick (1994) sottolinea come l’ambiente familiare possa incidere non solo sulla sintomatologia dell’ADHD, ma anche sull’esordio dei problemi comportamentali.
Un’interessante descrizione dell’ADHD è fornita in questo video dell’Istituto Superiore di Sanità, dove vengono brevemente descritte le cause genetiche e le cause ambientali
Per approfondire
Frick P.J. (1994), Family Dysfunction and the Disruptive Behavior Disorders. In: Ollendick T.H., Prinz R.J. (eds) Advances in Clinical Child Psychology. Advances in Clinical Child Psychology, vol 16. Springer, Boston
#Mito 3: L‘ADHD è causato da eccessiva assunzione di zucchero, additivi nel cibo
La conseguenza logica di questa affermazione è quindi che l’ADHD in realtà sia un disturbo inventato, causato da un agente esterno (zuccheri o additivi); più che di disturbo si dovrebbe quindi parlare di semplice vivacità, ritornando dunque alla problematica educativa, di cui abbiamo discusso in precedenza.
Più in generale la questione riguarda l’influenza che un regime alimentare può avere sul comportamento del bambino in termini di vivacità e ipercinesia. Il problema di questo assunto è legato al presunto rapporto causale diretto fra dieta e comportamenti: se la questione viene posta in questi termini, ad oggi, non sono ancora presenti in letteratura studi che dimostrano tale legame.
Vi è però da sottolineare la necessità di svolgere ulteriori ricerche per comprendere il ruolo dello zucchero nella sintomatologia tipica dell’ADHD.
Un’interessante descrizione dell’ADHD è fornita in questo video dell’Istituto Superiore di Sanità, dove vengono brevemente descritte le cause genetiche e le cause ambientali
#Mito 4: L‘ADHD è un disturbo dell’infanzia e dell’adolescenza
L’ADHD è stato per molto tempo considerato un disordine specifico dell’infanzia e dell’adolescenza che tende a risolversi con lo sviluppo. Studi longitudinali hanno invece confermato il persistere dell’ADHD anche in età adulta, (spesso confuso con altri disturbi).
Ciò che cambia è la sintomatologia, che evolve nel tempo. Barkley e Gordon (2002) sottolineano che gli adulti con ADHD non si “sistemino” prima dei trent’anni; a causa della sintomatologia, potrebbero infatti avere difficoltà sul piano affettivo-relazionale oltre che nel posto di lavoro.
Un aspetto importante da sottolineare è il ruolo esercitato dell’intervento nel prevenire eventuali difficoltà spesso associate all’evoluzione dell’ADHD in adolescenza ed età adulta, come l’emergere di problemi di dipendenza, ansia, depressione o addirittura condotte antisociali.
Pur non trattandosi di una relazione causale diretta, un intervento efficace è un importante fattore protettivo per il delinearsi di percorsi evolutivi funzionali anche in età adulta.
Per approfondire
Barkley R. & Gordon M. (2002), Research on Comorbidity, Adaptive Functioning, and Cognitive Impairments in Adults with ADHD: Implications for a Clinical Practice, in Clinician’s Guide to Adult ADHD: Assessment and Intervention, Elsevier